Siamo nel 48 a.C., alla vigilia della decisa battaglia contro Pompeo, a Farsalo, Giulio Cesare faceva erigere un tempio a Venere Vincitrice. Una striscia di fuoco era passata in cielo sopra l’accampamento di Cesare ed era caduta deve sorgeva l’accampamento di Pompeo. Il fatto fu interpretato come un segno della prossima vittoria di Cesare.
Nel nome di Venere Vincitrice Cesare sconfiggeva Pompeo anche se anch’egli aveva dedicato alla Dea un tempio, con la stessa epliclesi “vincitrice”, nel Campo Marzio, progettato come punto focale di un enorme complesso monumentale composto da tempio, teatro (il primo a Roma realizzato interamente in materiale lapideo) e quadriportico. Fu forse per questo motivo che il dittatore decise in un secondo tempo di mutare epiclesi alla sua dea che divenne Venere “Genitrice”, la Divina capostipite della famiglia.
Il tempio fu costruito celermente sul fondo del nuovo Foro che lo stesso Cesare aveva già appaltato per dare maggiore respiro al Foro Romano, ormai soffocata dall’eccesso di attività civili, politiche ed economiche che vi sorgevano. Il Foro ed il tempio furono terminati l’ultimo giorno delle sue celebrazione per il suo Trionfo, il 26 settembre del 46 a.C.
Nell’ultimo giorno, quando il popolo concluso il pranzo, Cesare entro nel foro che porta il suo nome con i calzari ai piedi, incoronato da fiori di ogni sorta. Da lì si recò a casa sua con il seguito di quasi tutto il popolo e degli elefanti che portavano fiaccole.
Aveva fatto costruire il foro che porta il suo nome perché fosse più bello perfino del Foro Romano e per questo veniva chiamato “Il grande Foro”.
Le ambiguità del comportamento di Giulio Cesare non si contano.
La necessità di costruire un nuovo Foro era ormai inevitabile viste le accresciute esigenze della città ma il dittatore trasforma subito il nuovo Foro in un monumento alla sua gloria e si muove al suo interno come un sovrano greco-orientale Persiano. Il Foro, come ricorda Appiano, non era destinato alle attività di compravendita ma era un luogo di incontro per le transazioni di affari pubblici simili alle Piazze pubbliche dei Persiani dove il popolo si radunava per cercare giustizia e per apprendere le leggi.